Quartetto Kuss
Jana Kuss e Oliver Wille violino
William Coleman viola
Mikayel Hakhnazaryan violoncello
Daniel Roscia clarinetto* (artista in residenza)
J.S. Bach (1685 – 1750)
Concerto Italiano in Fa magg. BWV 971 (elab. commissionata a D. Clapasson)
Allegro
Andante
Presto
B. Bartók (1881 – 1945)
Quartetto per archi n. 6 in Re magg. SZ 114
Mesto – Vivace
Mesto – Marcia
Mesto – Burletta
Mesto – Molto tranquillo
W.A. Mozart (1756 – 1791)
Quintetto per clarinetto in La magg. KV 581 “Stadler”
Allegro
Larghetto
Minuetto e trio
Allegretto con variazioni
Note al programma
Trascrivere Bach è operazione alquanto semplice. È difficile trovare un altro compositore le cui opere si adattino – in maniera altrettanto “naturale” – a qualsiasi strumento, seppur lontano da quello pensato originariamente. Sebbene sia scritto per clavicembalo, il Concerto Italiano consiste in una “riduzione” di un Concerto per ensemble barocco e potrebbe benissimo passare per il settimo Concerto Brandeburghese. Nulla possiamo aggiungere, solo essere umili propagatori (con ogni strumento in nostro possesso!) del Genio musicale tedesco. [D. Clapasson]
Bartók forgia il suo percorso partendo dal tardo romanticismo, aggiungendo un po’ di Debussy e una ricca dose di musica popolare dell’Europa dell’Est. Con un linguaggio musicale decisamente nuovo, i suoi quartetti segnano un nuovo capitolo nella storia del genere, tanto che, ancora oggi, suonano moderni, persino strani. Bartók compone il Quartetto n.6 in un periodo di grande turbolenza e, come a voler prevenire l’insorgere del dolore, i primi tre movimenti escono dalle loro meste introduzioni con vigore: un primo movimento di sonata, un secondo di marcia e un terzo di burlesque. Le sezioni centrali seguono un disegno ternario, come uno Scherzo, ma la tendenza di Bartók verso la variazione costante fa sì che le riprese tornino come colorate parodie di sé stesse. Il mesto finale mette al bando ogni parvenza di vitalità. Bartók completa il suo ciclo di quartetti con un sussurro, una disperazione irrisolta.
“Non avrei mai pensato che un clarinetto potesse essere in grado di imitare la voce umana”, scrive Mozart ad Anton Stadler, rinomato clarinettista viennese. Con il Quintetto per clarinetto e il Concerto, scritti per Stadler, Mozart sfrutta appieno il potenziale dello strumento. Quasi tutta la musica strumentale matura di Mozart “canta” in un’avvincente narrazione senza parole che evoca arie solistiche, danze e cori nelle più fluide tessiture cameristiche. In questa piccola opera da camera, Mozart esplora ogni possibile serie di relazioni, fino alle variazioni. Qui i personaggi ridono e si lamentano con stati d’animo sempre diversi, mentre raccontano la stessa cosa da un’angolazione ogni volta diversa. Le tendenze del concerto si manifestano in tutta la loro evidenza, soprattutto quando l’assenza del clarinetto crea l’attesa della sua prossima apparizione.
Alessandro Arnoldo